L'Incontro - Nove Onde

Quando incontrammo il Magister Druido, era primavera inoltrata, la primavera del 2000. Erano passati solo pochi mesi dall’ultimo incontro.

Personalmente, pensai che il tempo si era fermato con l’ultimo appuntamento alla radura del bosco, dopo la festa di Samain. Per la mia mentalità, di origine cattolica, fu come un calderone di concetti, che si alternavano nella mia mente: Ognissanti, i morti, Hallowe’en, la lotta fra il bene e il male, il capodanno celtico che secondo questa cultura si sarebbe scatenato la notte del 31 ottobre, a mezzanotte, il grande Ragnarök! Così viene chiamata questa eterna lotta, impossibile una vera vittoria, ma penso che, in fondo, è poi sempre il bene che sovrasta sul male! Proprio in ragione al fatto che il mondo, nonostante tutte le peripezie, continua ad andare avanti, crescendo, scoprendo, imparando sempre qualcosa di più di ieri. Ciò che fa andare avanti il mondo è il bene, l’amore.

\r\n

Personalmente, dicevo, il tempo si era per me fermato. Vivevo in attesa di un segnale, un presagio che mi portasse verso il bosco per rincontrare Arun e Hachim, così, quando sentii dentro di me la consueta inquietudine, il preludio dall’attesa, mi avviai verso il bosco, e incontrai i miei amici. Li vidi singolarmente invecchiati e pensai: anni, sono passati anni!

Un brivido mi fece tremare il cuore, l’eco del sentimento che provai per loro mi diede forza e coraggio, compresi, della durata di quel brivido, la felicità di rivederli. Di rivedere il Magister, di farmi raccontare la vita e le imprese dei Celti, gli antenati degli europei attuali. Le loro radici storico culturali.Tutto mi parve chiaro e naturale, anzi del tutto normale e pieno di nuove possibilità.

All’imbocco del bosco fummo subito uniti da profondi sentimenti. Ci univa l’amore per la conoscenza. Io li guardai meravigliata, scoprendo ciò che mi sembrava "vecchio" in loro: era solo una folta barba che si erano fatti crescere. Hachim fece cadere l’ultima barriera, dopo i preamboli sul tempo passato, quando disse: "Fin dove oggi mi sarà possibile, terrò davanti agli occhi quanto accadrà!"

Lui, come tutti noi, non sapeva ancora cosa ci sarebbe accaduto, Arun aggiunse, come se volesse dare il seguito al suo discorso: "...terrò davanti agli occhi il primo principio della nostra grande epoca, il nuovo millennio..."

Fatim, continuando il discorso iniziato, disse: "...in questo patto, terrò davanti agli occhi e nel cuore: di non calcolare mai, di non lasciarmi mai sconcertare da motivazioni razionali, di considerare sempre la fede, la vera fede, più forte della cosiddetta realtà!..."

Arun aggiunse, ma fu come un eco nel nostro cuore, che suggellò in modo tacito ciò che avevamo appena detto: "La posizione dei nostri pensieri è chiara, la posizione dei nostri intenti, pure."

Ci fermammo e ci guardammo negli occhi, aggiungendo: "Nel passato millennio molti profeti sono nati, molte società segrete sono sorte con speranze per un nuovo mondo, poi tramontate. Noi dobbiamo ricercare attraverso il passato, che il Magister Druido ci narrerà, il nuovo presente per proiettarlo nel futuro!"

"Così andiamo controcorrente! Proprio come il Salmone che aveva pescato Finn Eces per accedere alla poesia e alla conoscenza scritta, poi cucinato a dovere per essere ben assimilato da chi lo legge e digerito o meglio vissuto!" esclamò Fatim. Nel dire questo guardò entrambi, improvvisamente comprese cosa li rendesse più "vecchi" e forse più saggi: la barba! Allora Fatim rise a crepapelle, così forte che gli vennero le lacrime agli occhi.

"Come siete buffi, con la barba!"

Sia Arun che Hachim la guardarono male.

"Beh? Cosa c’è di male! Siamo così orribili?!" chiese Hachim lisciandosi la barba nella maniera del Druido. "L’abbiamo fatta crescere. Così ci garbava. Hai qualcosa da ridire Fatim?!"

"Perché è naturale che l’uomo abbia la barba, non è naturale non lasciarla crescere!"

"In effetti", aggiunse Arun: "Io non la faccio crescere, cresce da sola!" e se la rise.

Per un istante ci fu un silenzio profondo, il bosco aveva smesso il suo naturale canto. Poi Fatim riprese, polemica come sempre.

"Sono anni che la tagliate, e non vi siete mai chiesti perché lo fate. Ma ciò che mi ha fatto ridere è come la portate!"

"E come la portiamo, sapientona, la barba!?" disse Arun.

"Come chi, vivendo in modo inconsapevole, vuole copiare il Magister!" Riprese Fatim stizzita, ma contenta di averli colpiti nel loro lato debole.

"Sei sempre la solita", rispose un po’ offeso Arun, aggiungendo: "Me la sono appena fatta crescere! Poi, dal tuo punto di vista, è logico: al maschio adulto, ad un certo punto, crescono i peli sulle guance, sotto la mascella inferiore e vicino al naso. Segno che è pronto per procreare per andare alla difesa della patria. Certo romani e greci chiamavano i Celti ‘barbari’, ossia mancanza di civiltà. Ma sarebbe più corretto dire: mancanza della "loro" civiltà, servilista, partitocratica. La barba significa anche ‘costrutto’ derivato da una lingua e mentalità straniera, e per esteso ‘tutto ciò che è contrario alle regole! Capito Fatim. Questo significa farsi crescere la barba."

Ella fece di sì col capo, ma intanto pensava: "Sì, come diceva mio nonno: ‘servito di barba e capelli!’"

Fatim si sentiva la principessa delle favole, quando la voce poderosa ma chiara di Hachim, il forgiatore del bronzo, il pittore del gruppo, aggiunse, tutto di un fiato: "Vero, verissimo, pensate che avevo deciso di costruire un casco leggero, chiuso di ferro, con scolpiti i segni celtici, che chiamavano appunto ‘barbuto’ ed era in auge nel quindicesimo secolo".

"E come era questo casco?" chiese incuriosito Arun.

"Era di ferro leggero, chiuso con visiera e criniera , o semplicemente nasale che lasciava vedere la barba, da qui il nome.. avere la barba, per i Celti, era anche un segno di riconoscimento… Forse."

Senza che ce ne rendessimo conto, arrivammo alla radura; il fuoco era acceso da un pezzo, segno che il Magister Druido ci stava già aspettando.

"Salve!" ci sorprese il suo saluto. Il Druido raramente salutava in quel modo. Era lì tranquillo, seduto sulla pietra Fal. Lo guardai, egli fece il sorriso che mi aspettavo. Da tempo pensavo all’Aldilà celtico, Nove Onde. Così quando lui iniziò a parlare io avevo già compreso che avrebbe parlato di questo.

Con un candido sorriso aggiunse: "Sono venuto per istruirvi, su ciò che resterà di noi, dove la nostra anima va, quando il corpo la lascerà libera dai suoi compiti terreni. Istruirvi su questo è il mio più profondo desiderio!"

Mi guardò, lisciandosi tre volte la barba bianchissima.

"Sono molti mesi Magister che ho questo desiderio, il tuo sorriso e le tue parole me ne danno la conferma", dissi tutta di un fiato.

Guardai Arun e Hachim aggiungendo ad alta voce: "Di non calcolare mai, di non lasciarmi mai sconcertare dai motivi razionali, di considerare sempre la fede più forte della cosiddetta realtà!"

Hachim, per darsi un contegno, si avvio verso l’inizio del bosco per prendere altra legna. Quando il fuoco fu bene avviato, e le fiamme scaldavano tutt’intorno, crepitando piccole monachine che il Magister chiamava ‘l’anima del fuoco’ o salamandre, iniziò a parlare. I suoi occhi mandavano lampi fiammeggianti come il fuoco che ardeva, e come il fuoco ardente scaldavano i nostri cuori pronti alla conoscenza.

"So, che in questo periodo che non ci siamo visti, vi siete informati sulla nostra civiltà "barbara?" Cosa ne pensate?"

"Non abbiamo capito molto," rispose Fatim. "Ciò che tu ci hai narrato è stato, dagli storici dell’epoca, molto distorto. Ma è palese la verità, ora che sappiamo! Mi ha colpito un pensiero: che, per i Celti, l’ipotetico aldilà veniva chiamato ‘Nove Onde’. Ma poco ho compreso. Mi confonde la mente ciò che la mia vecchia cultura mi ha insegnato... Onde Oceaniche… o… Onde pensiero?"

"Nove Onde...", disse, in tono sognante e nostalgico, il Magister Druido e aggiunse subito: "Prima di arrivare a Nove Onde sarà bene che vi spieghi chi e cosa va nel paradiso celtico!"

Si lisciò tre volte la barba. E, appoggiato, il mento sul bastone di nocciuolo che portava sempre con sé, iniziò a parlare: "È tempo di rinunciare agli orpelli e a vecchi trucchi verbali, sulle paure profetiche, sulle retoriche false spirituali di inferni pieni di fuoco, in cui le anime bruciano… Per bruciare qualcosa, bruciano: i cervelli e le menti di chi è ancora sulla terra. Scambiando continuamente spiritualità con ritualità, o peggio. È tempo, invece, di lasciare l’infido bagaglio che mira a facili ascensioni verso il paradiso, se sulla terra vivremo di preghiere, di povertà, malattie, miserie... Tutta roba del mentale inferiore, della più assurda superstizione. È tempo, amici, di mutare pelle, scrollarsi di dosso l’illusione di facili scorciatoie per un puerile paradiso..."

"Parli del Giubileo del 2000?" chiese Hachim, per niente bigotto e sempre pronto a stuzzicare l’attuale religione.

"Anche… ma vi esorto di guardare, con occhi virili, senza veli, senza orpelli, la realtà di questa umanità troppo pigra e paurosa, suggestionata dalle emozioni… Per pensare alla vita e alla morte, ma, soprattutto, all’autenticità della morte!... Il suo enorme significato, quale scadenza di un meraviglioso compito: la vita. Che si svolge per noi stessi, per una crescita individuale, prima di un’ipotetica resa dei conti, di cui..."

Prima di continuare ci guardò dritto negli occhi, uno per uno, e aggiunse in tono maestoso: "Di una resa dei conti, di cui noi stessi saremo gli unici testimoni. Ognuno di noi, in ognuno di noi. Sia per l’uomo come storia, riproponendo l’uomo e la sua anima; che come caso singolo umano, al di fuori della storia e della cultura. Sulla terra questo a volte avviene, ma come singolo uomo si riproporrà a sé medesimo, in Nove Onde, come frammento di un iter che avanza, più o meno, con le stesse finalità evolutive, anche se con intendimenti diversi."

Dopo una pausa, che ci lasciò per riflettere, proseguì con voce soave, ma perentoria: "In Nove Onde: ognuno di noi, in ognuno di noi. Le parole, anche quelle che vi sto dicendo, non sono niente. Come se non le avessi mai dette. Se rimangono, per voi, vuote e vane parole. Vuote di senso o di conoscenza; conoscenza che domina sovrana la vita dell’uomo sotto tutti i cieli, ma io vi dico sotto i mari della terra!"

Noi guardavamo il Magister, ammutoliti; egli abbassò gli occhi, stuzzicò con il bastone il fuoco e aggiunse: "È tempo di crescere... è tempo di parlare chiaro, sul significato delle prediche o dei sermoni, laici o religiosi, che hanno inutilmente coperto il mondo di paure. Pensate, e parlate fra voi, di ciò che vi ho detto e vi dirò!..."

Si alzò. Il fuoco si era quasi spento. Lo guardammo, incantati, sia per la sua illuminata presenza, che per le parole appena espresse. Non osavamo interromperlo.

Quando riprese a parlare si era alzato un lieve vento; la luna, alta nel cielo, illuminava più del fuoco la radura.

"Io, se dico questo", aggiunse: "È per perché so quanto sarà difficile, per voi, accettare qualcosa di diverso. Come la nostra vera dimora, non è nel ‘cielo’", e fece un cenno con il dito verso la volta stellata e continuò, consapevole, il Druido di toglierci dalla mente l’incanto menzognero di un’esistenza.

"Ossia: è nel ‘celato’, nascosto in noi, in fondo al mare dell’inconscio. Ecco perché la luna, la nostra Madre, si unisce, illuminando il mare, alzando la crosta terrestre, governando le maree psichiche dell’uomo, i suoi pensieri, la creatività della notte…"

Sospirò e aggiunse, ancora: "Per oggi vi ho detto troppo, non voglio creare confusione nelle vostri menti. Voglio solo aggiungere…"

Disse quanto segue alzandosi, il suo abito bianco faceva tutt’uno con la lunga barba, prendeva strane ombre dal fuoco. Sembrava irreale, il saggio, quando continuò, con voce profonda: "Io non pretendo, anzi non ammetto, che un uomo possa accettare una fede, solo perché detta da un tale che si erge da sapientone o dettata da ipotetiche religioni; fedi fasulle! Non posso accettare; la cultura celtica non può accettare per fede, nulla! Perché la fede è sempre una violazione del pensiero singolo umano, che deve giungere dopo avere compreso in modo singolo e personale. La fede immediata è sempre una condizione superflua, non vissuta. Vivete la vita! Da parte mia, non accetto la vostra fede cieca. Non l’ammetto! Ammetto la ragione che, poi, fa subentrare in voi la cieca fede, in ciò che vi dirò!"

Il Magister era sparito da tempo, ma noi sentivamo ancora la sua voce, e le sue ultime esortazioni. Ci guardammo, ognuno di noi posò la mano destra sulla pietra Fal, guardammo il manto stellato. Fu un giuramento senza parole, che ci preparò verso un viaggio che sentivamo dentro di noi; un viaggio singolare, fra sogno e realtà, realtà che è diversa dal sogno vero e proprio, che ti lascia dentro la traccia della verità.

Eravamo uniti, nel pensiero e nel desiderio di intraprendere, insieme al Magister, il prematuro viaggio in Nove Onde.

 

(di Cinzia Sibilla Biffino).

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